Idea di due musicisti,
Leroy Powell (insieme ai
The Messengers ha regalato gran dischi) e Tim Jones, scelgono un titolo esplicativo per l’album,
Country Roots, utile a dare un’idea dello stile musicale dei
Whiskey Wolves of the West, altra scelta divertente, lo ammettono loro stessi in diverse interviste, ma funzionano entrambi come scatole vuote che contengono e dissimulano i desideri di ripercorrere quelle calde sonorità anni 70’, la storia americana di un rock impastato da rimandi agresti.
Certo solo 7 brani in meno di mezz’ora, sono poco, ma spunti interessanti ne regalano fin dalla poetica disamina di
Sound of the South alla seducente
Lay That Needle Down che rilascia una bellezza così trasparente e fluida nella quale ogni nota, paradossalmente, lascia tutte le sue incancellabili tracce.
Alexandria è una ballata melodica che ha il merito di attivare delle interessanti dinamiche di scambio col country, e poi
Rainy Day Lovers sa donare a Country Roots una potente geometria emotiva, ebbene i Whiskey Wolves of the West in poche tracce mettono su, un disco vivace e ardente che chiede poco all’ascoltatore, non smette di pulsare e abbagliare dalla prima all’ultima canzone (
Country Roots e
The Song Ain't Gonna Write Itself sono un paio di honky tonks selvaggi e diretti).
Resta
#1 (The Ballad of Dallas Davidson) ferma lì sulla scala del rock dove sono radunate tutte le altre.
Difficile da buttare a terra.