All The Rage ha una parvenza politica netta, sale la protesta e riflette la rabbia e la paura di
Ian Siegal per una crisi abissale nella quale il Mondo è crollato, schiacciati da una serie infinita di regole e costrizioni che inibiscono l’essenza umana.
Un mondo scuro fatto di rabbia e frustrazioni, emozioni che salgono decise da
Eagle-Vulture e
Jacob's Ladder, e sembra di essere caduti in un deserto, in un ennesimo vuoto e uscirne non solo è impossibile, ma soprattutto vietato.
Emerge così il sentimento dell’angoscia e il blues e lì a dare quota, elettrico, con qualche incursione dal profondo Mississippi, riflettono veleno in
The Shit Hit e nell’immaginario apocalittico di
Ain’t You Great? Il rock/americana non cerca di portare speranza in
Won't Be Your Shotgun Rider ma una profonda riflessione sulla transitorietà dell’esistenza, composta di luci, di ombre anche in un’altra splendida ballata come
Sweet Souvenir, entrambe risaltate dalle vibrazioni delle corde della chitarra.
Immagini e suoni che avvolgono anche la sinuosa
My Flame, Ian Siegal con cruda ma innegabile efficacia, a questa duplicità di stili, a questo gioco di specchi e di ombre, a questa lacerazione sempre aperta tra detto e indicibile che sale da
One-Eyed King e
If I Live, è impossibile sottrarsi.
La conclusiva
Sailor Town con l’amico
Jimbo Mathus (che collabora in altri 2 brani) ribadisce che Ian Siegal è soprattutto una voce diversa da ogni altra, che scava nelle radici nere del blues per colorare di vitalità e dolore i riff di chitarra delle sue canzoni e All The Rage restituisce canzoni belle e interessanti perché coinvolge, stuzzica, emoziona e avvince.
E soprattutto, nella sua struttura limpida, crea caos nella nostra già accidentata visione del mondo, ci aiuta, noi, rassegnati osservatori.