La Germania per registrare un altro disco acustico, il songwriter
David Munyon, voce, chitarra e una serie di ballate sulla vita, l’amore e il tempo che passa e le tracce che lascia dentro di noi.
Ormai i dischi del musicista americano, strano a dirsi, si contano a grappoli, e quasi sempre benedetti da esiti qualitativamente rilevanti,
Planetary Nights non corrisponde certo a uno ‘score’ ambizioso, sin dal fiero incedere di
On Through The Years che sul ritmo di marcia di pochi accordi, intonano il solenne tema conduttore anche di
Love Wash Away This Love e
Slow Night Train To Freedom.
E come sempre accade con David Munyon bisogna lasciar andare il tempo, per 1 ora, non sopporta la fretta Planetary Nights che scorre quindi lento con tutto il suo portato di malinconia (
Make America Great Again e
A Rare And A Foreign Coin), come gradualmente cade la goccia che consuma il rigido materiale apparentemente intoccabile, come la salsedine del mare a rilento corrode dove si posa, come la pazienza che ci vuole a curare, a esempio, un vigneto.
Ma David Munyon quando vuole vedere, scardinare questa società così compartimentata, far crollare il principio individualista che ci governa, allora il ritmo sempre acustico (eccezione per
Las Vegas Money), diventa più ficcante in
Headin For The Temple,
Runnin From...,
Rain Woman Blues,
Addy Nijenboer Sailing Song,
Big Snakes In The River.
Planetary Nights potrebbe risultare difficile per molti, ma non per chi apprezza il folk Americano, figurati a quelli che amano David Munyon!
Come me.