14cesimo album, dopo alti (il periodo con i
The Cultivators, ricordate Mama's Kitchen, annata 1999?) e bassi, accade che
Dan Israel trova il modo di rimarcare che la strada del rock degli esordi non l’ha mai smarrita e
You’re Free lo distingue e lo nobilita, se mai c’è ne fosse bisogno.
Brani che riflettono espliciti riferimenti sulla cattiva politica, c’è rabbia e frustrazione, per non parlare del degrado socio-culturale legato ai social media, si torna a far vibrare le chitarre ma Dan Israel non ha perso lo smalto della ballata e così alterna momenti di pura pulsazione ritmica a percorsi riflessivi.
Il saper dosare la melodia che sgorga fluida da
Gets You Through It e
If I Didn't Have You è un marchio di fabbrica di Dan Israel, lo stesso dicasi quando elettrifica a dovere
Long Gone Dream e
You're Free o quando inserisce rimandi agresti in
Back to You.
Americana, folk/rock e un occhio al passato che non guasta se si sa come usarlo, Dan Israel è determinato a considerarli come una briglia identitaria, uno strumento ancora sconosciuto, tutto da scoprire e sperimentare in
Make This Life Mine, certo, non a tastoni nel buio, ma le idee sono chiare e
Feeling Better piace, ha un bel sound come
Someday You'll Say.
Dan Israel controlla un salutare distacco umoristico per non essere fin troppo tragico, la tenerezza zuccherosa, la retorica insipida dei buoni sentimenti e nel finale va dritto col rock di
Soul Will Be Found e chiude con intriganti rimandi bluesy nella strumentale acustica di
Porch Storm.
Basta eccome per ritagliarsi un attimo di tregua dal quotidiano, far calmare un attimo le dita che compulsano, come zampette di insetti, sugli iphone alla ricerca spasmodica di immagini o parole che galleggiano nella cultura liofilizzata del mondo formato Google. O No?