Suono sudista, potente, non cambia la posizione degli
Otis, sempre più dentro il Classic rock e fuori dal Kentucky per lasciare osservare l’astratta accattivante morfologia delle loro chitarre.
Secondo disco, una stretta relazione con il chitarrista degli ZZ Top Billy F. Gibbons che non passa di certo inosservata,
Eyes Of The Sun costruisce piccoli congegni elettrici sempre più intriganti, sempre più trasparenti per permettere di vederne all’opera i tentacoli e misurarne la lunghezza, l’ardire, la foga che sale da
Change e sovraccarica
Blind Hawg, riffs chitarristici sempre più arzigogolati, un qualcosa di irresistibile quello che apre Eyes Of The Sun, squarcia mentre rallenta il passo nella convincente accoppiata di 12 minuti (
Shake You e
Turn To Stone).
Classic rock esibito senza troppi sacrifici che costano fatica,
Washed My Hands fa capire la cifra autoriale che muove Eyes Of The Sun, e su questa configurazione di spazialità limitata, che si restringono progressivamente e regressivamente la fiammante
Lovin' Man, altro che galere, si viaggia veloci con un suono pulito e roboante tale da bruciare qualsiasi frontiera sonora.
I recinti melodici poi gli Otis sanno come scavalcarli, splendida la coda finale, la ballata di
Chasing The Sun impone un respiro disteso, pacato e insieme sinuoso, mai prevedibile, un respiro che la postmodernità ha reso ormai desueto, e
Let Your Love Shine Down è lì a scrivere musica, significa muoversi continuamente da un punto a un altro del classic rock, e non ritornare mai più a quel punto di partenza.
E non serve affatto l'esibire, incorniciare, commemorare i paradigmatici anni Settanta, con gli Otis si resta in tempo reale.