Nato nell’Indiana con un Nonno che amava rimpinzarlo di canzoni di Willie Nelson e Waylon Jennings, il debutto di
Better Than Myself parla chiaro, un disco limpido, diretto e ricco di evidenze nell’Outlaw Country Rock nel quale ciò che viene descritto non è altro che ciò che si vede in giro per l’America.
Alex Williams parte in folle, l’intrigante ballata di
Better Than Myself evidenzia che è a suo agio con tutto ciò che eccede il dato sensibile di un tradizionale countryman, l’armonica lascia spazio alla steel guitar in
Hellbent Hallelujah, libera l’armonia elettrica in
More Than Survival e tale ‘spazio’, per esistere ed essere salvaguardato, va mimetizzato tra armonica e pedal steel nelle introspettive
Freak Flag,
Few Short Miles (Bobby's Song) e
Old Tattoo o tra la base alcolica/fumosa di
Week Without A Drink e
Little Too Stoned.
Better Than Myself non è solo una porta aperta sul Country, è come puntare al sole e intercettare per caso l'inizio di un'eclisse, la luce della chitarra cambia in
Strange Days e
Pay No Mind, Alex Williams resta fuori dal ‘commerciale’, la condizione dello 'stare fuori', fuori dalla legge impreziosisce
Can't Get Enough Of You e la conclusiva bellezza di
Last Cross, tale da indurre a spegnere per un attimo gli schermi che trasformano l'aspetto e l'esperienza della città contemporanea: provare a chiudere gli occhi a quegli urban screen che colonizzano spazi pubblici come i centri commerciali, i musei, le stazioni, gli aeroporti, le metropolitane, ma anche le piazze e le facciate degli edifici, e coprirli con la polvere sollevata da Better Than Myself.