Un vento impetuoso dall’Alabama accompagna il quartetto di
Heath Green And The Makeshifters, guarda un piccolo mondo capovolto con un coriaceo Blues e con i demoni del rock ‘n roll da esorcizzare.
S.T. è un disco da ascoltare, non ci vuole molto per saperne cogliere le mosse e le piegature tra la voce veemente di Heath Green e la chitarra molto calda di Jody Nelson (lasciate lavorate le indiavolate
Out to the City e
Secret Sisters e ve ne accorgerete), a fermarne il cuore pulsante da ansia e angoscia elettrica poi ci vuole il pianoforte in
Ain't Got God e
Ain't It a Shame, in grado di permettergli di battere con regolarità e serenità prima di accalorarsi in aspri assoli chitarristici, e tengono a galla
Living on the Good Side e
Took Off My Head.
L’esordio di Heath Green And The Makeshifters canta che è un piacere, gli strati anni ’60 e ’70 permeano
Hold on Me e l’ipnotica ballata di
I'm a Fool, racchiudono S.T. in due segni geometrici: una linea retta a dare una chiara direzione nel solco del blues/rock, per poi scoprire che questa retta viene però costantemente trasformata in un cerchio che li riporta ogni volta al punto di partenza ma con qualcosa di diverso (
Ain't Ever Be My Baby e
Sad Eyed Friend).
Un suono anche quando è ‘classico’ e ‘trasparente’ riesce a essere ‘rivelatore’ e ‘travolgente’, la capacità di Heath Green And The Makeshifters di soffermarsi su dettagli che diventano il cuore di S.T..