Big Bad Luv, il quarto disco del musicista dell’Oklahoma, non tiene a bada il lato introspettivo, oscuro, dove domina il buio di
John Moreland e aggiunge escursioni nelle viscere del rock, come nell’iniziale
Sallisaw Blue.
L’armonica, le chitarre elettriche, una band eh sì, centralità e snodo centrale, è questo il tratto saliente di Big Bad Luv, perché per il resto i testi sono sempre ficcanti e densi di riflessi di vita, si muovono in un perimetro stabilito ma, per una insopprimibile esigenza, non possono che invadere altri territori melodici, ballate elettriche pregevoli (
Old Wounds,
Slow Down Easy,
Love Is Not an Answer e soprattutto
Amen, So Be It) per un andirivieni di registri rappresentativi che rimandano ai labirinti e ai cortocircuiti emotivi dell’esistenza.
John Moreland, un omone che sa come esprimere i sentimenti in note, ascoltare l’acustica
No Glory in Regret e la raggiante carica di
Ain't We Gold, agganciano la coda finale dove per farsene portare a traino usa la steel guitar, dalle reminiscenze country, in
It Don't Suit Me (Like Before) e il pianoforte nella leggera bellezza di
Latchkey Kid.
Big Bad Luv anche dove, in mano a un altro, non sarebbe mai e poi mai andato a rischiare.