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La band svedese degli
Hills al terzo disco continua a trascinare l’ascoltatore nel ventre opaco e disperante della psichedelia.
Alive at Roadburn ha 4 tracce, media 13 minuti, delle lunghissime jam chitarristiche dalla cadenza introspettiva anni ’70, si miscelano in un magico equilibrio forzando gli argini del rock che impediscono ad Alive at Roadburn di tracimare da uno dei due versanti.
Accade in
National Drone, quello che può sembrare un pericoloso gioco di spinte centrifughe delle chitarre e delle percussioni, aleggia invece un’indiretta logica di ‘montaggio’ che le saldano l’un l’altra (
Frigörande Musik e
Master Sleeps) delle stanze che galleggiano nella luce artificiale delle lampade del rock.
Con la conclusiva
Och Solen Sänkte Sig Röd sembra di essere continuamente davanti a immagini alterate, sfasate nei contorni, allucinate nei colori dove appaiono percezioni sonore individuali tra le chitarre, continuamente contaminate dallo sguardo degli Hills.
Entrano in gioco come un respiro d’aria nuova, ed è difficile scrollarselo di dosso.