Jay Farrar e le tradizioni del blues.
Come di consueto il lavoro di scrittura è solido, rifinito come un arazzo ben tessuto, e le
Notes of Blue non escono da un unico spazio.
La chitarra acustica i
Son Volt non la abbandonano del tutto ma stavolta si accende l’amplificatore, Notes of Blue è un prototipo di quell'indeflettibile ottimismo dal retrogusto di pungente amarezza, perché destinato a scontrarsi con la dura realtà, raddoppiandone l’immagine nei due brani iniziali: un passaggio dall’ultimo disco
Honky Tonk, evocando uno spazio ulteriore nell’alt. Country con la pedal steel di Jason Kardong, per una magnetica ballata nostalgica
Promise the World, ma forzando i bordi del quadro di Notes of Blue con le oggettive sulla chitarra che si alternano a piani che specificano lo sguardo ai tempi degli
Uncle Tupelo.
È sempre in scena, invadendo le ruvide e muscolari
Static e
Cherokee St, senza distrarsi dal filo della narrazione di Notes of Blue il cui fascino respira come le maree quotidiane, un’inspirazione quando il mare entra addolcendo un paio di ballate (
The Storm,
Cairo and Southern) e l’espirazione quando l’acqua torna fuori e cresce di livello il suono in
Back Against the Wall, fino a defluire in modo pressante tra le note di una brusca
Lost Souls.
Rock e Blues sono ‘l’uno contro l’altro’, mostrano la speranza ma anche la disperazione, senza che una abbia la meglio sull’altra e, anzi, facendo sì che le due si confondano fra loro in
Midnight,
Threads and Steel e nei graffianti rimandi al delta mississippi di
Sinking Down, ma dove si aprono accattivanti solchi melodici.
I Son Volt diluiscono la loro innegabile capacità di analizzare la natura umana in tutte le sue forme, lo fanno col tempo del blues, e nel breve spazio concesso si capisce che Jay Farrar ha ancora miglia da percorrere e promesse da mantenere.