SCOTT H. BIRAM (The Bad Testament)
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  Recensione del  27/04/2017
    

Il viaggio di Scott H. Biram nel blues è sempre contraddistinto da peccato e redenzione, il conflitto tra il Cristo e il whiskey resta predominante anche in questa nuova disamina della condizione umana in The Bad Testament.
Americana scurissima, echi dal Mississippi, ad Austin, Texas, c’è sempre questo ‘The Dirty Old One Man Band’ in grado di legare i sentimenti al tempo.
Quello di Set Me Free e di ballate che entrano sottopelle come Red Wine, in The Bad Testament come nella vita, a volte c’è un ritmo precipitoso (TrainWrecker e nelle strumentali finali come Pressin' On), a volte lento (Still Around) ma quando si tratta di sentimenti la temporalità si dilata e dietro l’armonica di Long Old Time si resta impigliati come nella tela di un ragno.
La poetica di Scott H. Biram traspare dalle ballate tra acustico ed elettrico, sono schizzi improvvisi di vernice che si animano e prendono forma in Swift Driftin', Crippled & Crazy e in Righteous Ways, effetti collaterali nei confronti di un mondo contro cui cerca di piazzarsi sempre su quel punto in cui è possibile sfondarne le barriere dell’ipocrisia.
Dietro i quali c’è il nulla, il vuoto, il nero da combattere con il gospel True Religion, capacità sintetica di uno sguardo caleidoscopico: e così facendo Scott H. Biram riporta all’ascoltatore tutta la complessità e la stratificazione di un disco che condensa al suo interno valenze simboliche che appartengono a un dissacrante Bad Testament!