Il peggio sembra essere passato (e non parlo del disco di covers alla pop singer Taylor Swift) ma del divorzio dall’attrice Mandy Moore.
Un periodo difficile che ha pilotato
Ryan Adams avanti e indietro nel suo passato, fino a quando è riuscito a vedere oltre a quel muro, a non farsi ingabbiare dalla materia dei ricordi.
Lo scatto in avanti di
Prisoner (quindicesimo album in studio) sembra attaccarsi al periodo di
Heartbreaker (annata 2000) ma a parte tutto, è un disco che si insinua sottopelle, tra la sferzata elettrica di
Do You Still Love Me e passando a ballate come
Prisoner dove entra l’armonica che solca efficacemente anche
Doomsday.
Ryan Adams torna al rock/americana ed è esattamente ciò che ci voleva per innervare Prisoner e a renderlo così vivificante, a segno con un romanticismo elettrico contagioso che non ha paura di picchi sentimentali (
Haunted House,
Tightrope,
To Be Without You) con brani che ritornano e si rialimentano da nuovi e fruttuosi incontri con le chitarre (
Anything I Say To You Now,
Outbound Train,
Breakdown e
Broken Anyway).
Per chiudere ecco
We Disappear dove un grande sfoggio di leggerezza si mischia alla consapevolezza di dove si è, e cosa si sta facendo, Ryan Adams torna ad occupare il proprio spazio e si sente il peso di Prisoner.