Un doppio album per
Steve Seasick dilatabile verso i confini del riflesso esistenziale se consideriamo anche la nuova biografia, più o meno diretta e riducibile al punto zero del diario intimo,
Keepin’ the Horse Between Me And The Ground non può che inoltrarsi su un doppio percorso, mississippi blues/rock e americana/folk music.
Il primo disco contiene il nuovo materiale, una scrittura sempre molto ben calibrata con alle spalle tutta una serie di azioni, di impulsi, di slanci melodici che diventano autonomi sin dalla
Title track, nel cuore del delta blues tra
Gypsy Blood,
Walkin’ Blues e i dolci rallentamenti di
Bullseye e
Shipwreck Love che si armonizzano in Keepin’ the Horse Between Me And The Ground, lo rendono più fluido, coerente, esplicativo.
I politici e le banche della scorbutica
Hell, punti di vista assunti da Steve Seasick tra l’intensità e il colore della luce della chitarra a trasformarsi di continuo, nella spigolosa
What A Thang e
Don’t Take It Away, con il violino che entra raggiante in
Grass Is Greener e crea l’effetto di una intrigante variazione sul tema di Keepin’ the Horse Between Me and the Ground e al contempo frantuma lo spazio del blues e ne mette in relazione i frammenti.
Quelli in
Lonely Road, che apre il secondo disco, mostrano un altro lato di Steve Seasick, 10 brani acustici e qualche rilettura del passato, da
Hard Knocks a
Gentle On My Mind, dalla magica
Walkin' Man alle tinte bluegrass di
Southern Biscuits, Keepin’ the Horse Between Me And The Ground diventa una sorta di dipinto, una composizione finemente costituita da numerosi elementi che spiccano come pennellate su di una tela: campiture di colore blues, bozzetti introspettivi e spazi metaforici che parlano da soli, la torbida bellezza di
Gonna Get There e
Signed D.C. con l’armonica a ripercorrere al presente, il riflesso della vita passata di Steve Seasick.