Passa il tempo. Allora, nato in Georgia da un papà violinista, una giovinezza attraversata nella scena rock di Atlanta, arriva la svolta dopo il breve connubio sul palco con Jason & the Scorchers, una serie di concerti che lasciano un impronta in
Stevie Tombstone, e decide di partire per una carriera solista.
Dopo 3 decadi lo troviamo rodato songwriter, Americana e il tipico suono texano in un disco prezioso come
I Wish I Was Back In Vegas, una collezione di canzoni che coprono un arco di 30 anni di vita, rimasterizza alcuni celebri brani per lo più in acustico come lo si aspetterebbe da un ‘real troubadour’ come lo etichettano ad Austin, Texas, dove è sempre un piacere beccarlo a suonare.
Un giro nella vita, quello di Stevie Tombstone girando per casa, per il quartiere, per la città, per boschi, per i campi, perché si sa che petrarchescamente girovagando si va ugualmente vagabondando di pensier in pensier: ecco gli sfondi elettrici di
I Wish I Was Back In Vegas, la
Title track,
Best Of Worst Intentions, alla ballata di
I'd Lose It All dal passo morbido, al tempo svuotato da un violino in
Carolina o tra le ‘steel guitars’ di persone e storie di vita (
Slow Drunken Waltz,
Ten Lonely Years,
Your Only Friend e
Troubadour Blues).
Splendide ballate nel tempo rurale texano, un'altra perla è
Whiskey And Cocaine, sul bene e sul male: luce come bene, buio come male anche in
Would You Die For Love, ma basta far oscillare le chitarre per gettare ombre dappertutto rendendo più ambiguo il discorso nel finale con le energiche
My Bad Angel Eye e
Telephone Wire.
Uno spazio affollato quello di I Wish I Was Back In Vegas, dove prima o poi, si svuota e subentrano tempi più o meno prolungati di introspezione, in attesa di essere invaso dalle intrusioni dell'esterno Texano, che fa irruzione e ne storna e destruttura magicamente il bilanciamento.