Il duo dei
Black Pistol Fire anche in Texas, si sono trasferiti ad Austin (“
It’s great place to be if you want to be surrounded by all of that. And yeah, the clubs and the venues are top notch. We are completely in love with Austin, Texas"), inseguono un viscerale blues-rock dall’anima sudista, non rifugge dal loro passato che ha il sopravvento su
Don’t Wake the Riot, ma senza soffocarlo.
Acida la chitarra in
Hard Luck e cambia lo sfondo in
Bad Blood, muovendosi nel perimetro della sezione ritmica di Eric Owen che prende le misure in
Storm Cussin', anomala, per quanto eclatante in
Fleet Foot e
Copperhead Kiss, i Black Pistol Fire costruiscono un disco a imbuto, dove il percorso nel blues sfocia in un perfetto contrappasso con il rock (
Morning Star,
Wake the Riot e nell’eloquente e preziosa
Tombstone Taillight).
Don’t Wake the Riot è un continuo di sporgenze di una memoria nel blues-rock agonizzante ma mai sepolta, e i Black Pistol Fire non lo sminuiscono nemmeno nel finale con
Cry Hell e non lo relegano sullo sfondo di
Slowknife Stiletto e nella convincente ballata di
Blue Blazes.
In Texas hanno trovato un punto di equilibrio nel loro percorrere itinerari interni ed esterni al blues utili a definire Don’t Wake the Riot.