Destinazione Los Angeles, una band di special guests (come Steve Ferrone batterista per Tom Petty) e un paio di giorni per incidere un disco per honky tonker e camionisti, come piace definirlo a
Boo Ray.
Sea Of Lights ha un taglio ‘fuorilegge’ e corre spedito, si diverte il singer/songwriter del North Carolina a giocare con la continuità temporale di un chitarrista che ha girovagato parecchio tra Nashville e il Texas, il movimento della telecaster fluido nella spumeggiante
Redneck Rock & Roll che sfrutta lo spazio del country nella sua interezza, cattura rapidamente come la pedal steel di
Bad News Travels Fast.
Terzo disco rabbioso e vitale (
Keep That Hammer Down,
Chickens e
I Got the Jug) sono una rara prelibatezza, un raffinato piacere da assaporare anche con la lentezza della tradizione di un rodato ‘Troubadour’ dove l’approccio alla ballata va presa con la giusta cautela per produrre poesia e una perseveranza che ne accentua il fascino in
A Melody,
Some Guitars & a Rhyme.
I movimenti ciclici e sfondi minimi della telecaster usati in funzione dinamica nella
Title-track,
Johnny's Tavern ed
Emmaline, permettono a Boo Ray di abbozzare nel finale, anche qualcosa di più sofisticato con
One More Round, la grana di Sea of Lights sfoca leggermente le forme e ne sfilaccia il profilo sui bordi delle chitarre, un leggero sfarfallio ma in Sea of Lights sfrigolano. Fibrillano.