Dopo un lungo silenzio, durato più di tre anni, torna a farsi sentire la voce di
Kenny Roby, ex leader dei validi Six String Drag, countryrock band che visse una brevissima stagione di gloria sotto le attenzioni di Steve Earle e della sua etichetta ESquared. Il debutto solista di Roby,
Mercury's Blues (uscito in Europa per la tedesca Glitterhouse) non aveva convinto del tutto, lasciando un po' di amaro in bocca per le potenzialità inespresse del personaggio: un songwriter dall'anima rurale, che aveva più volte mostrato la molteplicità delle sue influenze musicali, lui che era partito da una punk band per approdare al movimento alternativecountry.
Rather Not Know apre un nuovo capitolo della sua carriera, in seguito ad un volontario esilio dalla scene per stare al fianco della propria famiglia e per riprendersi dalla dolorosa scomparsa del padre, avvenuta nell'ottobre del 2001. Partendo da questo triste evento, Roby sembra averne esorcizzato il ricordo componendo undici squisiti quadretti roots, interamente dedicati, come specificano le stesse note del ed, al padre. Registrato per la maggior parte in presa diretta con l'apporto di
Rob Farris, sul disco aleggia un'evidente ispirazione, che si traduce in un sound limpido e ridotto all'osso, prevalentemente acustico. Lavorando ad una sottrazione dei suoni, con arrangiamenti disadorni ed una strumentazione assolutamente roots,
Rather Not Know riesce finalmente a mettere in primo piano le discrete qualità di autore del protagonista, in grado di tratteggiare piccoli ritratti dell'America più dimenticata: Kenny Roby colora le sue composizioni di storie e personaggi marginali, coinvolti dalla durezza del paesaggio statunitense e dalle speranze che quest'ultimo può generare.
Coinvolgendo un ristretto manipolo di fidati musicisti, tra cui il vecchio compagno Ray Duffey alla batteria, l'ottimo
Scott McCall alle chitarre e Steve Howell (ex Backsliders) al mandolino e banjo, Roby imbastisce un gustoso viaggio tra le backstreets di provincia, scivolando tra melodiose e agresti ballate country (la stessa
Rather Not Know,
Tidal Wave), timide accentuazioni elettriche (la corale
Wilderness, la saga di
Leo & Betty), con la fugace comparsa di siparietti bluegrass {
Glad It Ain't Me) e persino deliziosi profumi messicani (la splendida border song
Bobby Rodan). Un disco asciutto e poco costruito, infarcito di gioiose melodie countryrock (
Not Gonna Give Up) e pause oldtime (
Blues Too Blue to Mention): sonorità vecchio stampo (è tutto da sentire lo sbuffante hillbilly di
I Need a Train, tributo al Johnny Cash degli esordi), che proprio grazie alla loro semplicità faranno breccia tra chi cerca più la sostanza che il contorno. Bentornato mr. Roby.