DUTCH HENRY (1973)
Discografia border=parole del Pelle

  

  Recensione del  31/03/2004
    

Quartetto di belle speranze in pianta stabile a Hesperia, Michigan, i Dutch Henry debuttano con un piccolo disco totalmente autoprodotto, nel solco della più fertile tradizione countryrock del Midwest americano. Si tratta di sole otto canzoni, tutte originali, per una mezz'ora scarsa di musica, ma i difetti si fermano qui, perché non c'è un solo minuto sprecato e tutto scorre con una freschezza davvero invidiabile. Nulla di nuovo all'orizzonte sia chiaro, perché le canzoni di Greg Miller e Mitch Wood, due vecchi amici che hanno deciso di mettere in piedi il loro personale sogno rock'n'roll, tracciano vividi bozzetti di quotidiana vita provinciale, rootsrock elettrico infuso di melodia, non uscendo dal tracciato del genere.
Il curioso nome lo hanno rubato ad un personaggio di un film western di Jimmy Stewart, e nella spiritosa copertina, tra cimeli, fotografie e ricordi di gioventù, capeggia il vinile di Sweetheart of The Rodeo dei Byrds (mentre sul retro si intrawede un Johnny Cash d'annata), giusto per delineare senza vergogna il proprio background musicale. Con una esuberanza giovanile che coivolge ed un indovinato impasto di voci e chitarre, che col tempo potrebbe maturare in qualcosa di più caratteristico, si stanno facendo le ossa nella sconfinata provincia americana, provando a spargere il nome Dutch Henry tra gli appassionati del circuito alternativecountry. In realtà 1973 affonda la sua ispirazione in un vitale sound elettrico che deve qualcosa a gente come i Bottle Rockets: c'è una carica stradaiola, fin quasi bluecollar, palpabile in canzoni quali Wealty Man o la stessa titletrack, praticamente due inni al Mellencamp d'annata.
Quando la componente rurale si rende più insistente (l'apertura di On A Dime o la ruspante When He Drinks) è impossibile non sentire il fiato di Steve Earle sul collo, specie quello proletario di Exit 0 e Copperhead Road, che diventa un fardello molto pesante in Poorhouse, nella sostanza una sua canzone sotto mentite spoglie. In questo senso è innegabile che i Dutch Henry manchi no ancora di una forte personalità (forse riscontrabile solo in Slow Moving Train, davvero una brillante ballata countryrock), quella che ci auguriamo di riscontrare in un prossimo, più lungo e meditato, episodio: gli esordi sono acerbi, ma molto invitanti per chi è cresciuto con il suono della periferia roots nelle orecchie.