Come la Interstate che dalla South Carolina porta in Texas,
Lucinda Williams attraversa il tempo di
The Ghosts of Highway 20, venendo e andando, a volte smarrendosi, a volte imponendo definitive rese dei conti, continuamente depistate, rinviate, interrotte dall’egregio lavoro alle chitarre di
Greg Leisz e
Bill Frisell.
La strada ispira
Dust, si sgrana ed esplode in un racconto diacronico dall’asfalto che la ricopre, prende spunto da un poema del padre Miller Williams scomparso lo scorso anno, Lucinda Williams usa il rock secondo necessità e si creano atmosfere magiche intorno alla solitudine, alla morte nei 7 minuti di
Ghosts Of Highway 20, a
Death Came e la splendida
Doors Of Heaven, ne mette in scena i fantasmi, mura da un lato il passato e poi vi apre un pertugio attraverso cui guardarlo, con due covers:
House Of Earth di Woody Guthrie si alimenta di penombre e oscurità intorno a una prostituta e l’epica
Factory di Bruce Springsteen inquietantemente illuminata dalla chitarra, dove i ricordi riaffiorano e affondano, dal/nel buio della ‘working class’.
Lucinda Williams supera elegantemente le griglie costrittive di The Ghosts Of Highway 20 nelle pratiche spurie di
Bitter Memory ben al di là di ogni ipotesi di controllo autoriale nei 12 minuti finali di
Faith & Grace, tra personaggi senza argini, ma non in caduta libera, storie che a volte raggiungono la sfera privata, con spazi e tempi organizzati dalla chitarra elettrica, da coniugare sull’ascissa di
Know All About It,
If My Love Could Kill,
If There's A Heaven e
Can't Close The Door On Love o sull’ordinata struggente di
Place In My Heart e
Louisiana Story, pochi minuti ma si torna volentieri a pensarci sopra, come dopo aver visto un grande quadro.
La The Ghosts of Highway 20 di Lucinda Williams viaggia lungo la ‘lazy line’ tanto cara ai Navajo.
Ovvero quel difetto, una linea obliqua che crea una sfasatura nei loro tappeti in virtù della quale i fili della trama non possono intrecciarsi e i tessitori Navajo lasciano sempre di proposito.
Un ‘difetto’ nei lavori che compongono perché, per loro, perfezione significa morte.