Il trio di Memphis continua a tuffarsi a pieni polmoni in un solido Blues/Rock, i riflessi delle superfici e della pelle di
White Horse obbediscono al cuore in fiamme del front man Justin Toland, volumi e diagonali delle chitarre alla ricerca di un 'metodo' per penetrare il buio che sta dietro la bidimensionalità di White Horse.
La visione dei
Dirty Streets lampeggia attraverso una serie di aperture circolari e grandangolari sul rock che squarciano un profondo velo nero in
Save Me e
Looking For My Peace, dal ritmo incalzante e senza ambizione di chissà quale affresco sociale, incessante e simbolicamente prezioso nei rimandi melodici anni ’70 di
Accents, in una 'circolarità' strutturale allineata alla riflessione sul tempo del rock che è l'epicentro di White Horse.
Ma è solo la radice su cui innestare rami-variazioni di ogni sorta in
Think Twice e nelle accattivanti
When I See My Light e
Good Kind Of Woman, percorse da cunicoli chitarristici che ne mettono in contatto gli innumerevoli locali di White Horse dove poter fermarsi (
The Voices) anche per riflessive disamine sull’esistenza in
Dust.
Come il fiammifero che incendia lo schermo Lynchiano di Cuore Selvaggio, le chitarre tornano a inghiottire White Horse in
Good Pills e
Plain, amplificando i suoni, tali da espandere i sensi all’ascoltatore sulla percezione dei Dirty Streets su White Horse.
Mi piace l'idea di poter incrociare questa copertina nello scaffale della mia libreria (il luogo in cui più si sente a suo agio).