Red Dirt - Red Heart è il capitolo finale della trilogia sulla storia e tradizione del blues nella cultura indigena in Australia,
Russell Morris si prende commiato da questo mondo varcando, insieme agli stessi musicisti degli episodi precedenti, una soglia tracciata da
Sharkmouth (2012) attraverso gli anni 20’ e 30’ a Melbourne passando per
Van Diemen's Land (2013) dove si focalizzava sulla corsa all’oro nel 1850 per entrare nel profondo della cultura aborigena in Red Dirt - Red Heart.
Lo fa con la fedele armonica a costeggiare un ricco immaginario bluesy che non si trova né in Mississippi né a New Orleans, 100 anni di storia in note, le chitarre Russell Morris non le lascia sullo sfondo, impagina un disco misurato e senza sbavature sin da
Cut You Loose e
I Go Around, la slide guitar s'incrina, traballa per illuminare a dovere
Bennelong e
Pemulwuy, l’armonica dispiega il suo fascino per fare il suo corso in
Goanna Man e
Alice, e quasi per contrappasso, servono a tenere lontano un male oscuro.
Una prevalenza di sonorità liquescenti acustiche e di arguzie ritmiche e il sapore di Red Dirt - Red Heart non cambia (
Lonesome Road,
Kadaitcha Man e
Tiger Snake) i ruoli si scambiano, mutano e si ribaltano tra il ritmo di
God Loves A Sinner,
Ben Hall e la sublime
Moondyne Joe, macchie sgargianti di colore in un nitido e impietoso mondo grigio che confonde montagne – case – terra prima di chiudere con la deliziosa ballata di
Nullabour Sand dove a parlare e il solo mutare, lento e inesorabile, dello sguardo di Russell Morris sulla natia Australia.