Si entra in un pozzo senza fondo di reperti, ricordi, frammenti, visioni, emozioni della provincia rurale americana, fattorie nel nord del Minnesota, concetto della ‘country farm’ da legare al rock n’ roll, dettagli che non possono mai saldarsi completamente ma che possono comporsi in un puzzle.
All In, terzo disco per i
4onthefloor, la rock band di Minneapolis del frontman Gabriel Douglas, raccoglie inquietudini, sofferenze interiori più o meno acute, che bruciano dentro come alcool, pronte a esplodere in
Lake Street Shuffle e
Fancy, con un intarsio di chitarre e percussioni, e partendo da questa ossatura All In opta per una vigorosa semplificazione lineare del rock.
Pochi fronzoli, “
Most the 4onthefloor fans are goodhearted and hardworking,” spiega Douglas. “
We're definitely a release for people. If you work hard, this is good music to take a load off to” e si spinge senza sosta,
Ms. Behave e la corale
All My Friends, l’universo del rock che funge di volta in volta, da collante o da punto di frizione e anche i fondali della ruvida
Smokin' e della riflessiva
Small Towns s'incardinano attorno a questi due poli.
Momenti rivelatori si snodano fra pacificati, candidi tronchi elettrici, insieme fragili e svettanti, deliziosi quelli di
Oathbreaker e la conclusiva
Lost Another, mentre i 4onthefloor non smettono di correre in
Joy, a preservare un meccanismo automatico, incessante e vorticoso (
Don't Tell Me e
Pipeline), che arriva a sfumare ogni brano nell'altro, senza mettere in discussione il nucleo identitario di All In.