Terzo disco per
Lance Canales affidato all’etichetta di proprietà di Jimmy LaFave (che produce, canta e suona la chitarra), una voce profonda accompagna una serie di ballate ben costruite su storie vissute anche in prima persona che sulle strade di
The Blessing and The Curse solcano confini, geografici ed umani.
“
I’m tired of love songs. I love songs about death…” un incipit a descrivere un approccio ad uno stile (‘Dark Americana’) che avanza spigliato dalla frizzante
California Or Bust e prosegue in
Old Red, e non ha voglia di guardare da un'altra parte in
Hich-wyah Man e
Weary Feet Blues mentre la splendida
Cold Dark Hole entra in gioco con le vertigini dettate da chitarra e armonica, come se le melodie di The Blessing and The Curse non potessero proseguire lungo una linea retta, perché hanno bisogno di strade secondarie e parallele, di raccordi e deviazioni.
Lì dove è duro il lavoro nei campi di frutta e verdura alla
San Joaquin Valley (Farmer) si scavano profonde riletture del passato, in duetto con Eliza Gilkyson nell’abbagliante bellezza di
Death Don't Have No Mercy e nel nome di Woody Guthrie con
Deportees, la storia di un incidente aereo del 1948 con la morte di una trentina di lavoratori messicani etichettati ‘deportees’ (extracomunitari, tanto per capirci).
La musica per Lance Canales è l'ossigeno di cui sempre la storia ha bisogno e, inversamente, che la storia stessa può fornire ossigeno alle cellule grigie della musica,
Pearl Handled Gun,
Fruit Basket e
Special Made si depositano 'sul fondo' di The Blessing and The Curse, mentre prende corpo in
Sing No More un’essenza metafisica così che la materia del narrare si assottiglia, quasi evapora lungo il Mississippi di
Stomp It Out.
The Blessing and The Curse è ricco di spunti interessanti, dategli lo spazio che merita.