C’è più di una sensazione che porta al passato ascoltando
Corb Lund con i fedeli The Hurtin’ Albertans, nel modo in cui infila tra le melodie di
Things That Can’t Be Undone un mix di americana, soul, country e rock anni ’60 e ’70, dove la realtà si lacera e poi si ricompone solo apparentemente nell’iniziale
Weight of the Gun, e specie nella storia sulla vita militare di
Sadr City, nel brutto sogno di
Washed-Up Rock Star Factory Blues e in
Alt Berliner Blues.
Tutte lasciano spazio a vuoti, sfasature, leggeri accavallamenti e sovrimpressioni, o aperte dissonanze della steel guitar, e questa è la forza di Things That Can’t Be Undone.
Da bravo honky tonker, quando si tratta di parlare col ‘cuore’ Corb Lund trova ballate di spessore, deliziosa
Run This Town, come la pedal steel che solca brillantemente
Alice Eyes, l’acustica e senza lieto fine
S Lazy H (dove la colpa è delle banche!) o la gemma finale
Sunbeam, Corb Lund torna ai suoi luoghi e alle sue melodie, ma con una nuova energia, la materia dei suoni si sfrangia nell’elettrico, il fruscio della chitarra in
Goodbye Colorado non si sa più se è letteralmente country, ma piace, basta ascoltarla in
Talk Too Much.
Cade l’ultima foglia per Things That Can’t Be Undone, ma il passato per Corb Lund è sempre fertile.