Il valore dei primi due dischi -
For All That It's Worth (2010) e
Mercy Of The Mountain (2013)- sta nel suo offrirsi come tessera di un'esperienza più ampia: come segmento di una sequenza che è partita altrove e che finirà di certo in giro per il South Texas.
L’idea alla base di
Twisted In The Vine è la stessa, semplice, si parla della scelte di vita e delle conseguenze che esse comportano, “
So brothers”, spiega
Pake Rossi, “
keep in mind, there's nothing finer than flyin' free but just 'cause you're twisted in the vine, it don't mean you're not where you should be”, ecco, Twisted in the Vine è l'insieme di tutte le risposte che si sono accumulate nel tempo intorno a quell’itinerario.
Il destino di Pake Rossi ci appartiene, musica legata alle radici folk texane, teatro del tempo sospeso, dalla bellezza malinconica e severa in
Feather Song -introspettiva come l’iniziale
Breaking Down- ma pian piano si aprono a una strumentazione varia e ricca, le steel guitars le fonti luminose degli interni di Twisted In The Vine.
Scolpiscono
Hungry Moon, illuminano
Lilly of the Valley e
Big Diamond dove l’armonica e pronta ad organizzare anche lo spazio di
Jailbird e
Bethann's Blues, riuscendo a sviluppare una connessione corpo-luogo con il blues e splendidamente amalgamato al rock in
No Time At All e
Three Good Sisters, con panoramiche a profusione sulle chitarre, per un paio di ralenti, di ‘freeze’ di spessore.
Si respira Texas, da ballate preziose come
Empty Cupbords, sale il valore della pedal steel, un'unica inviolabile luce pervade ogni piano del ritmo avvolgente di una deliziosa
Kate Marie, in modo che tutti gli strumenti risultino sempre e contemporaneamente, a fuoco, da quelli in primissimo piano a quelli in profondità di campo.
Chiude il racconto in solitaria di
String Bean Betty and the Dreamer, come in un microcosmo impermeabile verso l'esterno, ma ritorna tutto in Twisted In The Vine.