Da una piccola ‘small town’ Morgantown, sud del Kentucky, un debutto coi fiocchi capace in una solo apparente semplicità di digerire fonti e suggestioni disparate.
La Vita è dura, c’è poco da fare, lì John King (ex frontman dell’hard rock band dei Sixth Floor) è pronto a raccogliere la polvere d'asfalto per nuove inquadrature rurali utili a grattare le superfici rugose dei marciapiedi che lo circondano e le guance ruvide di volti dei diseredati.
Questo l’approccio di
John King And the Mud River Revival, elettro-acustico,
Write the Wrongs parla di povertà, bibbia, whiskey e pistole, e tante chitarre, selvagge e tirate a lucido nell’iniziale
It Ain't Right e in
Drag The Green River, dannatamente accattivanti quando prendono il largo verso paesaggi bucolici (la corale
Man On The Mountain,
Calm Before The Storm e
Blame Me For The Bad), il banjo si aggrega in
I'm Gone e
Nowhere, Ky, lo stile è nervoso anche in
Veteran, attimi di vita, figure sfuggenti, ballate godibili, per un caleidoscopio di suoni a focalizzare un'inquietudine che non trova pace.
Fondamentali si rivelano in Write the Wrongs, nella loro pertinenza, i testi, semplici e cantilenanti, prosciugati da ogni retorica come nella miglior tradizione della scuola americana del Sud e restituiti al valore della parola poetica,
My Son,
Believe e
It Ain't Easy (But It's Honest) sempre vicine al fuoco del rock ma senza il rischio di bruciarsi.
E le conseguenze per John King And the Mud River Revival sono molte, Write the Wrongs fila via a raggiungere la felicità e catturarla.
Anche se la parola 'felicità' in Kentucky non si scrive ‘happine$$‘.