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4 dischi dal 2008, lavori di tutto rispetto, ma troppo invasivi quando si moltiplicavano nello spazio del rock, ma la band di Jonboat (JB) Jones sembra aver trovato il giusto compromesso con
Rise to the Mountains.
Le chitarre debordano come in passato, ma stavolta non tracimano mai e, anche quando la musica s'impone, si coagulano attorno ad attimi isolati di grande forza, prendiamo i cambi di ritmo e lo spazio dato alla steel guitar tra gli 8 minuti iniziali della
Title track dove si aprono le porte di accesso allo spazio di visione a Rise to the Mountains.
Come disposte ai lati di un lungo corridoio, una stanza ancora da occupare nel finale della riflessiva
Grey Skies, ma dove trovare chitarre scintillanti, con cui ricacciare con forza il rock, dargli 'suono' in
Leavin Out the Backside e
Over for You Know It, e attraversarlo con invidiabile freschezza in
Where Have You Gone, una volta ancora insieme all’altra chitarra di Jimmy Rose.
Una luce diffusa che tende a omogeneizzare gli elementi di Rise to the Mountains, li riempe ma gli
Hogjaw sanno come sfumarne i contorni, azzerandone i contrasti negli 8 minuti di un’energica ballata, e
I Will Remain pian piano assorbe l'intero spazio di Rise to the Mountains, fatto di lugubri assoli spalleggiati dai tremolii sospesi nella tensione di
Fire,
Fuel & Air e
Another Day,
Second to None e
The Smoker.
Strade ruvide, di chi come gli Hogjaw rifiutano la sottomissione alle diverse forme del rock, conservando la propria coerenza.
Un disco corrosivo quanto basta, licenzia un ‘manuale che si legge’ in 50 minuti (ma che si rumina per più giorni e settimane) ad uso di quanti vogliano acculturarsi in materia o semplicemente ripassare a passo di carica, il rock.