Alla soglia del 70esimo compleanno,
Ray Wylie Hubbard ha un modo insolitamente accattivante, brioso, di mettere in scena una vecchiaia che non si arrende,
The Ruffian’s Misfortune, seconda tappa di una trilogia nata intorno al Mississippi blues, sia da riconoscere come una costruzione formale di cui, nel mentre vi si sviluppa, si è in grado di cogliere il disegno e la tessitura.
“
This record is pretty much where I am as far as trying to make records that work on a couple of different levels,” spiega Hubbard. “
By laying down a groove with cool guitar tones and vicious nasty licks with lyrics that have a little depth and weight and even a little humor thrown in, too, as life is pretty much like that.”
Salvezza, religione e il rock, si allarga come sulla superficie di un lago nell’iniziale
All Loose Things, dalle cui profondità emergono incubi, storie, riflessioni su terre natìe, la nostalgia, l'epos della Frontiera, il suo Mito ammaliante che sembra aver esaurito le cartucce in
Hey Mama, My Time Ain't Long e nella splendida chiusura di
Stone Blind Horses.
Oggi quegli orizzonti, quelle rocce, quel sole, quell'aria, narrano altre storie, Ray Wylie Hubbard carica sull’armonica ironia e ‘sentimenti’ tra
Chick Singer,
Badass Rockin' e
Bad on Fords, ed è facile trovarsi in sintonia sulla selvaggia ‘schitarrata’ di
Down By The River.
Quando entrano in gioco le ballate, la malinconia non si scioglie mai in canto ma rimane sospesa, evocata dalle continue apparizioni di strumenti solisti (violino, mandolino, steel guitar) in
Too Young Ripe, Too Young Rotten, anche quando si specchia nel Mississippi di
Mr. Musselwhite's Blues,
Barefoot in Heaven e
Jessie Mae.
Il Mississippi è il fiume dove ancora oggi, chi vuole raccontare attraverso la musica, va a 'lavare i propri panni'...