Da una serie di frizzanti party in una acciaieria abbandonata, arriva l’idea per incidere
From The Basement : “
These songs were created in the spirit of those crazy nights” dice Giles Robson. “
250 people crammed into a filthy basement. A makeshift bar, old Slush Puppie machines serving highly alcoholic slushy concoctions the audience dancing inches away from you as you played. We tried to infuse the raw energy and intensity of nights into the sound and performances and recording”.
Armonica blues con forti tinte rock anni ’70,
Giles Robson & the Dirty Aces procedono a scatti, 'si incastrano' a meraviglia in uno ‘sporco Rock n Roll & blues’, ne rimangono impigliate
Sinnin' 'Gainst Me e
Na Na Na Na Na (The Girl I'm Talkin' About), nelle irregolarità della materia del blues la forza di From The Basement.
In perfetto stile Seventies,
Anna Marie comincia a martellare su una melodia modulata su semplici note, praticamente perpetuo. Un pilastro, l’armonica alza poi furiosamente il ritmo nella deliziosa
Ain't No Forgettin', ricca di evoluzioni e abbellimenti alle chitarre, rinforzata da una percussione che la ribalta in una nuova serie di martellamenti a ripetizione prima di riprendere esattamente dall'inizio.
Con la perfetta circolarità di
That Simple Stepe, tra i pacati accordi 'aperti' in
Know Where to Get To e
Upstairs, a Giles Robson & the Dirty Aces riesce di confondere lo specchio trasparente del blues con il vetro deformante del rock (
A Few Choice Words,
My Angels Might Die Too, la conclusiva
Silver Bird to Mexico) da tracciare a rasoiate nelle cupe
Howl & Moan e
When That Final Storm Rolls In.
Un disco cui è difficile sottrarsi una volta ascoltato, anche a caso.