Un gorgo, un vortice di Mississippi blues .
La storia di
Bror Gunnar Jansson ruota intorno a questo gorgo, al cui centro sta il ricordo di un American delta bluesman, un one-man-band dalla Svezia che si descrive “
the missing link between Lightnin’ Hopkins and Kopparmarra [una piazza di Goteborg, dove vive]”.
L’ipnotica bellezza di
Dead Cold Hands è come una palude dove non si riesce a muoversi, la slide guitar rimane invischiata in acque che tirano giù a poco a poco tra ballate di spessore come
Mary Lee,
Heartaches and Troubles e
Pretty Polly.
My Gal Drinks so Much Whiskey That Shee Stagger in Her Sleep alza il ritmo, passa attraverso la ripetizione dei movimenti alla chitarra, che sono moltiplicati ritmicamente nello spazio e nel tempo e senza badare alle sfumature continua ad arricchirle immergendo
William Joseph Dean nel delta blues che si trasforma nel vero motore di Bror Gunnar Jansson.
Un riflesso speculare alla slide guitar giusto e normale setaccia
Long Gone, cuori affacciati sul buio come nella conclusiva
The Wandering Spirit of B.F Shelton.
Zone oscure che Bror Gunnar Jansson ha già scavato, e poi rinterrate utili a stuzzicare l’ascoltatore a scavare ancora, a sua volta.