KEVIN DEAL (Nothing Left To Prove)
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  Recensione del  21/03/2015
    

Con Kevin Deal si va sul sicuro, il modo più veloce per apprezzare la capacità creativa della Texas Music tra Country/Americana, nel tempo in cui si trasforma all'istante in malinconia sospesa, disarmante e semplicissima nell’iniziale Nothing Left To Prove.
Ma i dischi di Kevin Deal (produce Lloyd Maines) si sottraggono alla 'regolarità' e qualche volta alla linearità del tempo, comunque anteponendovi regolarità e linearità di pensiero made in Texas, a partire da honky tonks ben elettrificati (Let Them Horses Run) e country ruspanti (Whom Then Shall I Fear), il passato per Kevin Deal non è mai una prigione psicologica alla quale non si riesce a sfuggire.
È piacevole essere imprigionati dal vortice elettro-acustico di On The Outside Looking In e Hey Hey Washington, lo proietta verso il futuro, lo incontra, lo sfiora sull’altalena della splendida Stand And Deliver, ne è un'antenna, e poi lo consegna all’ascoltatore.
Si assorbono i contraccolpi di un cambio di coordinate in The Irish Bands Are In America, ma Nothing Left To Prove resta ancorato alla realistica e dura esistenza di un semplice ‘farmer’, circondato da una terra arida, con poche vacche da spingere nel recinto della fattoria, e un desiderio, Play Me A Country Song.
Gente tranquilla, in quel Texas dove si raccontano tante storielle, da Waiting On The Rain, con la soavità della pedal steel guitar in Truck Stop By The Liquor Store By The Highway e le tinte messicane di Mucho Trabajo Y Poco Dinero, dove la fisarmonica ostenta una sicura prevalenza dello spazio e la realtà perde la grana sotto i nostri occhi quando invece dovrebbe mettersi a fuoco.
Ci pensa l’armonica che introduce la splendida Why Bad Things, e si può anche ridere, ma di una risata agra.
Tutto sta nell'essere pronti a cogliere il senso.