Ambientazione rustica, ma terreno sdrucciolo perché i chiaroscuri della società urbana sono sempre a vista, lì i
Wrinkle Neck Mules cercano e inquadrano il proprio bersaglio concentrando lo sguardo su di
I Never Thought It Would Go This Far, e parafrasando il titolo, sono ben 15 anni che il quintetto della Virginia non sbaglia mira.
Chase Heard e Andy Stepanian continuano a dividersi parole e microfono, al sesto disco non abbandonano banjo, steel guitars e mandolino ma pronti a duettare con le influenze del rock,
Whistlers & Sparklers e
Bury My Gold descrivono l’idea all’avvio di I Never Thought It Would Go This Far, come dire che nel primo caso le chitarre elettriche si fermano alquanto in superficie, nel secondo alla fisarmonica il compito di cercare di scavare e portare in primo piano il modello bucolico dei Wrinkle Neck Mules.
Il rock fa da metronomo sia del bordone autoriale di
Mustang Island, sia del cambiamento e nella mutazione che avvia
Beehive, la malinconia passa a colori sempre più vividi per poi lasciare che la luce della nostalgia conquisti piano piano uno spazio sempre maggiore tra
Heaven's High,
Release the Reins e
Token.
Promette l’orizzonte di I Never Thought It Would Go This Far tra le vivaci
Sugar Bowl e
Undertaker's Song, le steel guitars garantiscono i contorni, e ridotte al perimetro del banjo e mandolino in
Never Was the Bird e
Days Don't End, le melodie non soffocano, e non dispiace il modo in cui lasciano affogare
Tropical Depression nel vortice della pedal steel che, come in passato, circonda i momenti più ispirati della conclusiva
The Line's Been Drawn.
L'interno dello scheletro dei Wrinkle Neck Mules, capaci ancora di regalare momenti di insospettata e genuina novità.