Wolves si allontana dalla direttrice scelta da Jason Isbell nel precedente
Burn. Flicker. Die., si aprono nuovi spazi, il suono si espande, gli
American Aquarium assemblano una serie di paesaggi sonori sospesi, affidati al mix di chitarre elettriche, tastiere, e manipolazioni Country, ottenendo un climax stimolante, un intelligente impasto di rock riveduto e corretto e di neoromanticismo catafratto tra grandi sogni e sacrifici all’ombra del fallimento.
Family Problems è sottesa da un fondo oscuro di consunzione, disgregazione nel solo chitarristico finale, il cantante BJ Barham alla fine si ritrova nella poetica che ha alimentato Ryan Adams e i Whiskeytown, in una sorta di ideale ‘summa’, tra
Southern Sadness e la ballata di
Man I'm Supposed to Be.
Brucia il sentiero del rock che solcano in
Wichita Falls e
Ramblin' Ways, e dalla strada, la pedal steel e il banjo di
Old North State,
End Over End e
Losing Side of Twenty-Five portano Wolves tra cespugli texani selvaggi e sterpi.
L’equilibrio sapiente della
Title-track, un punto mediano, centrale anche per
Who Needs a Song, dimostra come ogni canzone in Wolves è una dimensione a parte, non vale la pena di cercare oltre.
Un punto a favore degli American Aquarium.