Strano connubio con Kasey Chambers, ma sulla sedia del produttore l'occhio della countrysinger vede 'mosso', sfocato, salta a catturare la spontaneità del rock, diretto, potente e melodico sulle strade che della nativa Australia hanno spinto
Kris Morris all’Inghilterra, sette anni, un EP nel 2007 e il primo disco due anni dopo.
Ruins va dritto al sodo, le chitarre aprono il disco, aria fresca tra
Bury My Bones e l’ospitale piacevolezza di
Ceasefire, piene di vita e verità, tra un sorriso a volte amaro, Ruins continua a considerare il confine del rock come una superficie dove specchiarsi (
Ruins e
Fighter) e su più lati.
Con l’armonica a impreziosire
Bad Idea, nelle ballate dove il tempo si dilata in piani lunghi (
The Fear, Pt. 2 e
She's Like A Record) e in
All Out dove la melodia torna a incontrarsi, a trovarsi, e cercarsi con il rock, dove si può esitare nella tenebrosa
Jesus,
Valium e tra le steel guitars di
The Levy.
Tempi lasciati correre prima di spalancare la voragine acustica di
Rock Won't Roll (Ruby) ad aprire infiniti mondi e infinite possibilità.
Ruins, mai banale, brillante e pervaso da sottile sensualità.