RAY SCOTT (Ray Scott)
Discografia border=Pelle

     

  Recensione del  20/11/2014
    

L’armonica trasuda pesantezza, la consistenza della sferzante Cookin' è tutta nell’attrito causato dalla pressione di un mondo inospitale, Nashville, che sembra voler rifiutare, perché intrusivo e inattuale, il mondo del countryman Ray Scott: “I understand that sometimes the business has a place for what I do and sometimes it doesn’t. But what I do has kept me alive out there in the world because it is different enough that people get passionate about it. They stick with it. I don’t sound like everybody else, and I don’t want to.
Al quarto disco, Ray Scott continua per la sua strada, ad afferrare il ‘country’ come una sorta di specchio deformato da cui osservarne la realtà a suon di telecaster, fuorilegge e vecchi fantasmi. Si aggirano nei selvaggi honky tonks di Drinkin Beer, Her Old Man e It Ain't Gonna Be You, guarda al Messico che fa da sfondo a Tijuana Buzzkill (‘It’s a true story, right down to having my foot peed on by a Mexican guy’) come i polverosi bar di provincia a The Ugly One, e tira fuori gemme come Papa And Mama e Wheels On The House.
Quando poi gli affianca la pedal steel, sale in cattedra il lato malinconico di Ray Scott nella ballata Ain't Always Thirsty dove la drammaticità di un divorzio è ancora una volta affidata soprattutto alle parole capaci come sempre di rivelare i tormentati luoghi dell'anima, il loro fulmineo mutare dalla tenerezza al rancore, e orchestrare Leave This World o infilare il pianoforte in I Miss The Days è nelle corde di Ray Scott, un disco dove trabocca tutta la forza affabulante di un vero countryman.