Da un retro-bottega pieno di parole e musica ammucchiate alla rinfusa, Dick Heuvels insieme a un batterista country in pensione, decide di dar spazio a quel vecchio amore con un intreccio trasparente nell’esordio di
Getting Up to Rise e sarà anche musica registrata dal portico di casa, tra birra e una buona compagnia, ma gli
Shine Jar non inclinano pericolosamente al versante smargiasso del brano radiofonico.
Ricca strumentazione, la scelta di adottare una narrazione più scanzonata e sconnessa in
Good Times Coming li rende simpatici e il sound è lineare e godibile, ammiccano ad un country elettro-acustico verace, la scioltezza praticona della lingua non soffre poi tanto di fragilità alla scrittura, densa e piacevole la semplicità folkie di
Vice e
Vera, come l’aria agreste del banjo nella spigliata bellezza di
Pulling On My Chain.
Qualifica Getting Up to Rise, un disco che sfugge a ogni norma gravitazionale del music business, ruvide le chitarre in
The River, macchiate dal blues e dal rock in
I Wonder,
Booze And Lies e
Meaty Bones, gli Shine Jar da una classica prospettiva bucolica, ribaltano lo sfondo in una sorta di carnevale elettrico pronti a ridefinire le coordinate di Getting Up to Rise anche in
Leaving Empty Handed e
Getting Up To Rise.
Aderenti al rock che trasloca, e ricrea altrove uno spazio identico ma con quella estetica malinconica di periferia in
Theo. Gli Shine Jar si limitano ad accoglierla nel perimetro di Getting Up to Rise.