Una bella famigliola, Barbara Keith scrive e canta (ha anche un passato da sceneggiatore), il marito suona la batteria e il figlio alle chitarre. Sono al 13cesimo disco i
The Stone Coyotes, da Los Angeles hanno cantato di boulevards visti dalla strada, sepolti dal ‘rumore’ del rock, per poi spostarsi nel Massachussets.
Rock Another Day parla al presente ma suona come una band anni ‘90, fuori da ogni luce di mainstream, se ne disinteressano quasi totalmente, solide chitarre e
The Fall Of Babylon contro le banalità che caratterizzano la nostra vita di tutti i giorni, che soffocano la realtà ma sono il prodotto ‘intellettuale’ della produzione merceologica che abbraccia tutto il nostro mondo.
Sfilza di personaggi che vivono con i propri fantasmi smossi dalle cupe
Mary, Where Were You?,
Peace in the Valley,
A Ghost Of A Chance, il rock resta luogo privilegiato da
Let The Wild Horse Run, un dimora da abitare e da cui osservare lentamente
Pretty Baby Jane. Ma i Stone Coyotes hanno tempi e lucidità necessari per distillare un paio di dense ballate,
The Hard Hills e nel pianoforte di
It Changed Me, per poi trasformarle nel segno del rock, senza sbavature, in
Rock Another Day e
Don't Come Cryin' To Me, ripescando nel finale
A Rude Awakening (Revisited), dal loro passato, annata 2009. Solo dal bel disegnino sulla cover del disco, si capisce che sarebbero dei perfetti ‘vicini di casa’.