In soccorso all’uomo del nuovo millennio, abituato a trangugiare immagini e suoni dalla mattina alla sera, aizzato ad affidarsi ciecamente(!) al senso razionale per eccellenza, arriva il dissacrante
Grant Peeples. Sempre contro tutti, rock, folk & americana contro la politica guerrafondaia e monetaria alla Bush, sulla scia della popolarità del ‘natural capital-globalist conflagration’, Grant Peeples si ripropone con
Punishing the Myth (prodotto da
Gurf Morlix) di fecondare le incertezze di un’intera generazione tra le innumerevoli macchinazioni politiche in
You're a Slave to your Imagination in duetto con Sarah Mac e con Greg Brown alla tromba e all’hammond b3.
I tempi della slide guitar di Morlix ribaltano
Who Woulda Thunk It?, splendida rilettura del brano di Greg Brown, mitologia, religione, falsi ideali ammaliano in
The New American Dream e
The Morning After the Coup, la sua stilizzazione della realtà a volte esasperata spiazza le aspettative canoniche dell’ascoltatore e lo pone a confronto con altre dimensioni. Una paio di belle canzoni d’amore, ma alla Peeples ovviamente,
She Was a Wildflower e alla zia lesbica
Aunt Lou, un altro duetto, con Eliza Gilkyson nell’allegoria della morte di
The Hanging, Punishing the Myth continua a non essere elusivo e rassicurante, spesso è una finestra aperta crudelmente sul mondo e quella che entra è un’aria gelida (il poema di
High Octane Generation), che trascina con sé la difficoltà - o addirittura l’impossibilità - dell’uomo di farne parte.
Nel finale una serie di ballate, un’altra metafora sulla morte nel Tibet di
Training in the Charnel Ground a cercare di tradurre l’invisibile che c’è dietro il visibile, di scovarlo e farlo parlare attraverso la carne e la terra, l’emozione trattenuta nel vuoto di
I Can’t Imagine Him Carrying a Carbine o di un paesaggio perfetto che nell’unica canzone registrata live col pubblico, anima la diatriba di “
It’s too Late to Live in Austin”? Che dire, un modo semplice, ma emozionante, per far tornare a balenare il raggio della speranza.