Il rock resta un elemento destabilizzatore nella musica dei
Waylon Speed, una chiave che apre e insieme scardina il meccanismo di
Kin “
We evolve naturally, we aren’t trying to make anything different or better than previous material,” racconta il bassista e vocalist Noah Crowther. “
We’re family, and this natural evolvement led us to Kin.”
Gli alti e bassi della vita vissuti sulla strada ruotano attorno alle chitarre di
Coming Down Again, vibrano e smuovono
Reminds Me, e il mondo appare sfocato, scuro e indecifrabile, ma invece di metterlo a fuoco tra la quinta urbana, si svicola in periferia, l’armonica e la telecaster di
Smooth the Grain svelano le contaminazioni del Sud dei Waylon Speed.
Si articolano nella patina malinconica di
Until It All Ends, tra la pedal steel di Mark Spencer in
Days Remain the Same e di una deliziosa
Tally-Ho, si precisano in
On a Wire e si osserva da lontano la quotidiana mediocrità di un mondo di marionette inconsapevoli quando l’apnea bucolica si placa, e Kin lascia il posto al respiro del rock.
Luccicano
Shakin’ e
Union, le chitarre spaziano libere in
In Your Mind, lievitano con il racconto di Kin, sino a identificarsi con lo smarrimento e la disperazione, e sfiorano le vertigini nei 6 minuti finali di
Demons. Stile asciutto sempre tenuto sotto controllo, a briglie strettissime. Come ci si aspetta dai Waylon Speed.