INDIGENOUS (Time Is Coming)
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  Recensione del  22/07/2014
    

Dopo l’annuale presenza all’Experience Hendrix Tour (insieme ad altri virtuosi della chitarra, Kenny Wayne Shepherd, David Hidalgo & Cesar Rosas, Eric Gales), il decimo album per l’indiano cresciuto nella Yankton Sioux Reservation in South Dakota, non si limita a seguire un potente blues rock, in Time Is Coming le dita di Mato Nanji non respirano mai, tendono ad intrecciarsi con gli Indigenous (Derek Post, altra chitarra e Charles Sanders, batteria e tastiere) lungo 12 delle 13 canzoni scritte insieme alla moglie Leah, l’unica cover è di Bruce McCabe, Good At Feelin’ Bad ed è quella di minor durata, solo 4 minuti.
Grey Skies presenta un campo assai parziale di cui si riconoscono gli angusti confini, si cade volentieri in una percezione irregolare dell'oggetto di piacere di Time is Coming, la Stratocaster. Domina I'm Telling You, Sun Up Sun Down e Good At Feelin' Bad, piace lo stile sorvegliato ma fluido di Time Is Coming, personale e maturo, tanto da impedire qualsiasi concessione alla ordinaria melodia, luogo e tempo del blues sembrano immobili e mutanti contemporaneamente in Around The World e Wont Be Around No More.
Mato Nanji usa i sentimenti per rompere il bozzolo nero di You're What I'm Looking For, So Far Gone e di una sopraffina Day By Day, condiziona il vivere di Time Is Coming e mette insieme alle corde una rete di strati intersecanti che tagliano anche il finale tra Give Me a Reason, Somethings Gotta Change e gli 8 minuti con il lungo assolo di Don't Know What To Do. Con una grande capacità cesellante che ci resta nella mente, sospesa come un debito.