I
Mount Carmel ci trasportano di peso negli anni Settanta, con le chitarre costruiscono dialoghi fitti e brillanti, le incastrano su cose e persone in traiettorie ereditate da
Real Women, ma allo stesso tempo aprono a nuove improvvise fessure, le lasciano filtrare tra lo spirito del classic rock e il decor raffigurato nella cover. Si crea uno scambio proficuo, in cui il primo diviene sempre più un modello operante e sempre meno uno specchio passivo in
Get Pure, capace di essere etico e politico, magico e avvincente, grazie alla forza dei fratelli Reed (Matthew, voce e chitarra, Patrick al basso con James McCain alla batteria a chiudere il ‘power trio’) del suo essere racconto delle passioni che contiene: “
It all comes from that core place,” dice Matthew Reed. “
There’s stuff in there about heartache. There’s stuff in there about anger. There’s stuff in there about joy. When you open your mouth whatever comes out is probably where you were at mentally, so we always try to be quick about it.”
Il rock inizia a cougulare intorno a
Gold, lo schiacciano in fondo a Get Pure, messo in un angolo, inscritto dentro spazi, forme melodiche da cui non riesce mai ad evadere, perché quella prigione la costruiscono i Mount Carmel, un vortice di chitarre frequentano
Back On It e
Whisper, tagliate da strisce così ombrose, a macchie, ipnotiche, capaci di bagliori accecanti in una coltre pesantissima di riffs in
No Pot to Piss. Spazio e tempo del rock che diventano campi e controcampi in
Swallow Me Up, veloci tuffi all’ingiù, arresti a mezz’aria e ripartenze a piombo verso la strumentale
Bridge to Nowhere, dove i Mount Carmel confermano il proposito di vestire e ‘animare’ solo quello spazio. Get Pure sa sempre trovare una strada per tornare senza tradirsi in
One More Morning, ciò significa che i Mount Carmel continuano ad avere il giusto peso nelle dedizioni collettive al passato del rock, splendida la pausa nella ballata di
Will I, Reed e l’amore (‘
Will I see you again? Did I tell you I love you?’) canta su uno spessore emotivo sfumato pur nelle asprezze della slide guitar, una capacità a cogliere i moti più intimi e delicati dell’animo femminile.
Ma non c’è possibilità di fuga, il rock di
Hangin On e
Fear Me Now è come un cerchio concentrico senza sbocchi, dove non c’è un punto di partenza e di arrivo, gli spazi delle chitarre, anche se variano, hanno sempre una velocità frenetica, il leitmotiv anche nella conclusiva
Yeah You Mama. Vera e propria chiave stilistica di Get Pure, viaggiano a folle velocità e sulle strade dell’Ohio perdono continuamente l’orientamento tracciato e quando ripiegano su strade laterali divagando nel quotidiano, trovano altrettanti scompensi. Uno di quei dischi in cui, quando si entra, non si vorrebbe più uscire.