Al cuore del rock and roll anni ’60 per il 20esimo disco di
Fred Eaglesmith, come mai questa scelta? Semplice: “
I’m thinking rock and roll, because everything else sucks!”
Tambourine, registrato in presa diretta nell’Ontario, riesce a materializzare – a distanza di decenni – ricordi di melodie oramai sbiadite (“
When I put the songs together for Tambourine, I was thinking about the days when there were five push buttons on an automobile radio,” Eaglesmith spiega. “
The album is a walk through the garden of rock ‘n’ roll”) e tornano in
What it Takes,
That's What you do e
Engineer (l'affettuoso ricordo di Rich Danko, cantante e bassista con Dylan e The Band).
Fred Eaglesmith si prende tempo, non si lascia ingabbiare dalle regole del ritmo, si spinge ancora avanti, colloca
Tambourine nella massima evidenza con la levigatezza della superficie della slide guitar.
Resta in giro, a contatto con la strada, con la sua dispersione errante, a percorrere una linea retta nel viaggio di ritorno o di andata verso di essa e col passato, negli spazi circolari della malinconia, brevi spostamenti in soggettiva tra
Nobody's Friend e
Drunk Girl, fra la polvere e la terra senza luce delle incantevoli
Small Town e
Sally Green. Annusa più tracce, senza lasciarle cadere nel vuoto, ci sono la divertente
Can't Dance e i mal di cuore periferici o centrali in
Nobody gets Everything e
Train Wreck dove in densa sovrimpressione àncora il rock prima di racchiuderlo negli spazi stretti di
Whip a Dog. Lo libera ritrovando quegli impulsi dolci e nervosi che sono una caratteristica della musica di
Fred Eaglesmith.