L’illusionistica marcia stagnante della band del bluesman
T-Model Ford (purtroppo scomparso lo scorso anno a Greenville, Mississippi) si attacca agli spigoli di
The Bloody Scalp of Burt Merlin e la copertina, un paesaggio liquido e mentale, si addossa pezzi di ricordi, li tampinano le ipnotiche slide guitars di Jon Kirby Newman e del vocalist Stefan Zillioux.
Li ingigantiscono in primissimo piano ai lati di un fondo buio targato Mississippi che a Seattle i
GravelRoad per mezzo di una piccola e indipendente casa discografica, la Knick Knack Records, provano a scavare per le fondamenta di
The Bloody Scalp of Burt Merlin. Delta blues e psicadelia, un’atmosfera sotterranea e ossessiva, spiazzante, avvolge l’iniziale
The Run e assume i contorni fluttuanti e implacabili di un’incubo in
Cocaine Baby. I brutti sogni cominciano a girare interminabili tra
Monkey with a Wig e
Med Pass!, le esilissime radici che legano ancora gli uomini al terreno del reale si strappano nel vortice delle steel guitars nelle seducenti
Maybe the Wind e
Bottom of the World dove nell’acquitrino del delta Mississippi il fondo oscuro del mondo è fatto riaffiorare dall’irresistibile incedere delle chitarre e delle preziose percussioni di Martin Reinsel.
Il sotto e il sopra e, tra i due, un orizzonte d’acqua putrida… Si continua ad essere sballottati dalla slide guitar che soffia e picchia a distanza in
Death Bed Blues e che continua ad apparire, ‘trapelare’, nel finale, siamo all’altezza delle corde nella sinistra bellezza di
Last Night's Dream, viaggiamo sul filo dell’immaginazione, nella dimensione del ricordo e della fantasia nei 7 minuti di
Space, come per riempire, abbellire, elaborare il vuoto che ci separa dalle cose che amiamo. La splendida luce agreste che traspare dalla conclusiva
Bring Me Back vi prenderà per mano, vi farà entrare nel labirinto di
The Bloody Scalp of Burt Merlin e molto probabilmente vi lascerà a metà strada. I
GravelRoad conoscono bene l’ingresso ma non sono per nulla sicuro che ci sia un’uscita.