Blues/rock che sgretola, in maniera così netta sotto una serena classicità, prima insieme al padre BillyLee, sulla superficie di
Get Down With The Blues e poi a fianco del nono disco di studio,
Burning Flame. Il mondo di
Bryce Janey inizia con il terzo disco dei
The Janeys sfondando i limiti del già acquisito e del già conosciuto (un paio di strumentali, all’inizio e alla fine di
Get Down With The Blues, con
Beginnings e
Third Stone From the Sun di
Jimmy Hendrix, e altre covers - Johnny Winter e gli Allman Brothers) trovando una dimensione più vera, tutta chitarre e passione per il blues anni ’70. Il tutto per arrivare al senso più profondo in
Burning Flame.
Tutto si sbriciola come in un quadro di Dalì a cui hanno rubato la tavolozza, il corpo della muscolare
Chrome Horse si divide tra motori, la strada e il blues,
Bryce Janey cerca e interroga la chitarra in
Long Ways Home e
Guitar Playing Fool, riffs che vengono a interrompere il corpo a corpo senza tregua della parole anche in
Can You Feel It e
The Stealer (la prima di due covers, l’altra è
Special Ryder Blues di Skip James).
Analizzano un quotidiano difficile ma si parla anche di amore, la ruvida bellezza di
Stone Cold Killer, costeggiando il delta blues in
The Revenuers e
The Last Goodbye.
Burning Flame si volta e si ritira nel fuoco del blues, cala il nero come una mannaia, affonda tra le steel guitars della deliziosa
Organic Man, con l’Hammond di Tommy T -Bone Giblin nella conclusiva bellezza della
Title-track, una ballata a mostrare la fattura impeccabile di
Burning Flame. Educa, indigna e infiamma, le ragioni per cui l’essenza del blues non va cercata altrove. Ci pensa la famiglia
Janey.