DIRTY DAVE OSTI (Shakedown On Salvation Street)
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  Recensione del  29/01/2014
    

Per tutti coloro che il Guitar Rock è una religione, ecco il terzo disco di Dirty Dave Osti. L’orecchio viene qui allegramente destituito della propria normale funzione uditiva, perché in Reach For The Sky e l’arcigna We Got The Right To Roll ogni cosa è nero-trasparente, le lunghe jam alla chitarra ristagnano sulle diverse facce di Shakedown On Salvation Street, si accumulano alla rinfusa nelle pause di Ocean Girl, strisciano ovunque in Cold World e Pull The Trigger (On Your Love), inafferrabili, granitiche in Stun Gun, In The Summertime e Pale Rider. Dirty Dave Osti al terzo disco continua ad aprire nel blues/rock dei buchi enormi (Shakedown e nei 7 minuti di Fairies Wear Boots), e senza che nessuno sia in grado di colmarli, musica che fugge all’infinito, una pulsazione che tende all’esplosione finale ma che, per fortuna, tarda ad arrivare, tra Blame It On The Times e Certified Blues –versione all’altezza dell’originale targata ZZTop.
Il mare sonoro di Shakedown On Salvation Street è calmo e agitato, un progressivo avvicinamento e una lenta compenetrazione solcano Lean Into The Wind e la splendida Old Man Blue, procede dritto come la dimostrazione puntuale di una tesi: Shakedown On Salvation Street ad alto volume diventa sinuoso e subdolo per il modo in cui è capace di divorare i mattoni delle abitazioni, oltre alle menti del vostro vicinato.