Hoodoo fa pensare alle ‘
huis clos’ di
Jean Paul Sartre e a certe atmosfere di
Vercors. Non è un tuffo nel male assoluto e assurdo, senza spiegazioni razionali e senza soluzioni consolatorie, ma l’atmosfera del nuovo disco di
Tony Joe White è inquietante. Da ben diciassette brani ha scelto le nove canzoni che compongono
Hoodoo, registrate in presa diretta in una chiesa del Tennessee.
“
Our studio is an old antebellum house,” dice
Tony Joe White. “
I hear it was used early in the Civil War days as a doctor’s office. Wood floor, lotta wood everywhere—good for the acoustics.”
Hoodoo è un viaggio nella vita di
Tony Joe White, nato in Louisiana nel 1943, cresciuto in una fattoria, quella vita la descrive in
9 Foot Sack (“
Wake us up at daylight / mama had breakfast on / we ate like hongry wolves / walked out in the dark”) tra 40 acri che il padre coltivava a cotone per sfamare sette figli si dirama un viaggio nel profondo Sud degli United States, quasi sempre un vagare ed unire con la slide guitar capace di farlo con l’armonica di
The Gift, saltando da una storia all’altra ma utilizzando come parole d’ordine le distorsioni alla chitarra (deliziose
Holed Up,
Storm Comin' e
Who You Gonna Hoodoo Now?).
O semplicemente un altro ricordo, lo attacca a storie del Mississippi rurale (
Alligator, Mississippi) di un viaggio verso casa dopo l’alluvione di Nashville del 2010 (i 7 minuti di una sfavillante
The Flood) gioca con i segni della memoria, li appunta e li decora nella splendida
Gypsy Epilogue (“
Can’t eavesdrop on the future, can’t dance with the past”) chiudendo con
Sweet Tooth dove il blues e il cuore coesistono brillantemente e dove si colgono, senza fraintendimenti, sussulti e silenzi nel passare delle età di
Tony Joe White.