Il songwriter texano
John Moreland è andato oltre il fuoco d’artificio coi
The Black Gold (un paio di dischi), ha grattato sotto la superficie con
Earthbound Blues ed ha trovato un’idea promettente per
In The Throes, ancora un corpo estraneo che rischia di far passare in secondo ordine lo spessore poetico in cui
John Moreland si è tuffato.
Ballate elettriche e introspettive ad avallare un indipendenza di pensiero, inquietudine e versalità culturale caratteristiche degli uomini di confine, senza dimenticare la spiritualità : “
I grew up in a fairly conservative Southern Baptist family. From the time I was born up until about age 16, my entire worldview and all my opinions were pretty much solely influenced by the evangelical church. I guess that stuff stays in your psyche forever”.
Il self-service dei sogni è aperto a chiunque abbia un televisore, un lap-top da due soldi,
John Moreland prova a conquistare il proprio di immaginario in note, lo aiuta una florida strumentazione (suona chitarre, armonica, piano e le percussioni) e si affida alla steel guitar di Johnny Up a far risaltare lo spessore delle brillanti
I Need You to Tell Me Who I Am e
Nobody Gives a Damn About Songs Anymore. Il passo melodico è per lo più riflessivo,
:59 AM e
Break My Heart Sweetly, ma senza rinunciare al ritmo,
Blacklist,
God's Medicine e
Your Spell, le tragedie nel mondo al di fuori della passione di una piacevole
Oh Julia.
Il terreno battuto è sempre la strada, si capisce la necessità di cancellare corpi e storie nel nero della malinconia, qualche smagliatura, di poco conto in
Gospel, piccole incertezze da colorare con la conclusiva bellezza di
Blues & Kudzu.
John Moreland ci aiuta a fuggire il tempo per 40 minuti con un universo calmo e tranquillo dove c’è tutto il tempo per ‘prenderne al volo’ i particolari significanti.