Il trio di Memphis dei
Dirty Streets staziona ancora tra gli anni 60/70,
Blades Of Grass -terzo disco e nuova etichetta, Alive Records (casa di Lee Bains e dei Radio Moscow) ha una bellezza diversa da quella ricercata nei primi due dischi, si gioca sullo squilibrio delle percussioni, sull’asimmetria dei vocalizzi di Justin Toland e il montaggio controtempo della chitarra che mantiene sempre il campo lungo nell’avvio prelibato di
Stay Thirsty, e non si preoccupa di modellarle ‘sulla bella armonia’ nella stopposa
Talk.
“
On this record and also on the last one [Movements, n-d-c], we moved in the direction of writing songs that we could play live in a certain way, but at the same time we were making songs for the sake of being songs. The other thing is, production-wise, we got better at recording and having ideas for overdubs”, i
Dirty Streets si lasciano andare allo slancio della passione per il classic rock nell’avvolgente
No Need to Rest,
Keep an Eye Out e con
Try Harder, la storia di uomo onesto e lavoratore, lo sfondo amaro su cui vengono a patti il sentire più profondo di una vita vissuta tra le tante tribulazioni del quotidiano, tema intimamente personale in
Blades Of Grass (il tocco elettro acustico di
Movements #2).
Rick Steff (dei Lucero) all’organo B-3 e Adam Maxwell all’armonica entrano in scena per spingere indietro la lancetta del tempo, splendide
I Believe I Found Myself,
Heart of the Sky, la florida
Truth, tutte insieme a delineare margini e influenze che strutturano un macrocosmo sociale, il classic rock e un micrososmo individuale, le inevitabilità del loro fondersi e confondersi in
Blades Of Grass.