Shake The Walls è irto di scatti, dissonanze e tentazioni ‘concrete’ del blues/rock, domina un clima sonoro corrusco, fosco anche tra l’armonica della muscolare
Alley Cat, espressioni di una vita trascorsa sulla strada per il britannico
Marcus Bonfanti descritta con affetto in
Cheap Whisky e
Stone Me Sober, dove c’è tutta la voglia di (ri)assaporare i turbamenti del gioco della vita con lo stesso afflato dell’adolescenza, unito, però, alla sicurezza che deriva loro dall’età e dall’apprezzamento dei piaceri della vita.
Convincono le scansioni percussive sulle corde della chitarra in
Honest Boy, in
We All Do Bad Sometimes sulle quali però possono anche alzarsi improvvisi, eterei disegni armonici a riprodurre su piccola scala le tensioni e le divergenze che caratterizzano un’incapacità di comunicazione e di solidarietà, metafore non troppo velate della nostra società occidentale. L’armonica entra in
Jezebel, altro blues/rock di qualità,
Shake The Walls resta intrigante anche tra piccoli slittamenti progressivi, le dolci
Blind Alley e
The Bittersweet, ma le melodie sfilano via leggere come in
Honey e
My Baby Don't Dance ed intrigano anche nella loro apparente inconsistenza.
Spicca nel finale il bel giretto sulle sponde del Delta Mississippi, una via non del tutto nuova per
Marcus Bonfanti,
Shake the Walls dopo aver strizzato l’occhio ad un sentimentalismo alcolico, al quotidiano più ‘ecumenico’, prova a spiare il disagio dall’interno, dal cuore del delta mississippi con la robusta
Bang Of A Gun. La scommessa è vinta ancora una volta.