SLAID CLEAVES (Still Fighting The War)
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  Recensione del  26/07/2013


    

L’ispirazione nasce da una raccolta di foto dal fronte Irackeno (Operation Homefront, vincitore del 2012 Pulitzer Prize for Feature Photography di Craig Walker) ma la guerra è utilizzata da Slaid Cleaves non tanto per raccontare come viene vissuta da chi la subisce e basta, da persone che non la vogliono, che non c’entrano.
La guerra sebbene sia estranea alla dimensione umana, in Still Fighting The War introduce quel lato umano un po’ oscuro, quella sorta di ‘zona grigia’, nella quale galleggiano una serie di brani che rappresentano il vero sale di Slaid Cleaves (“My process this time was just to write as many good songs as I could, not concerning myself with how they all fit together,” dice Claives. “But when I began to settle on the songs and the sequence of the album a theme of perseverance through hard times revealed itself. It runs through the album, as it carries into all of our lives. The recession's over, but these aren't exactly happy days. We're all still struggling, we all keep pushing along”).
La poesia e la politica salgono su un rustico vagone e conducono Still Fighting The War verso nuovi paesaggi, e il mondo che si vede, sembra dirci, ha la stessa lunghezza d’onda di quello interiore (“Men go off to war for a hundred reasons / But they all come home with the same demons”), nella sofferenza del quotidiano la parola perde il suo referente, in un certo senso muore come tale e diventa vuota.
Quando nell’involucro entra l’amore, seppur in Without Her, I Bet She Does e Gone è leggero, tende a rivivere in quanto suono, musica, ma si può sempre farlo volare, sulle fattorie d’America di piccole cittadine in rovina dove i sogni deragliano, nei due brani scritti con Rod Picott sulla ‘working class’ (nuove versioni, sempre belle, di Rust Belt Fields e Welding Burns). Ma dopo la tempesta, Still Fighting The War si riappacifica con le operazioni di attracco in un porto al riparo dai venti della recessione economica, la base è il Texas per la pregevole Hometown USA (una ragazza che torna a casa dopo aver cercato invano i propri sogni) e con una buona dose di humor (Whim of Iron e Texas Love Song - la steel guitar al bravo Lloyd Maines- con una dedica a Don Walser in Gods Own Yodeler).
Un filo di ottimismo prima della struggente e ‘amara’ -nella sua apparante, levigata piacevolezza, In the Rain per praparare un finale in cui si condensano gli esiti poetici più alti, Go For The Gold (arriva dal doppio live Sorrow and Smoke) e Voice of Midnight con cui Slaid Cleaves ci consegna la contemporaneità. È giusto che qualcuno ce la mostri in tutta la sua invadenza, anche tra i paesaggi, a prima vista così rassicuranti, della beneamata provincia texana.